Elogio della debolezza


immagine (di Enzo Bianchi - avvenire - 10 luglio 2011) - http://www.monasterodibose.it/content/view/4080/26/lang,it/ Come scriveva Gilbert K. Chesterton, il paradosso attraversa il tessuto della fede cristiana. E così la debolezza, l’asthenía che nasce dalla malattia, dall’handicap, dall’umiliazione, dalla sofferenza imposta dalla vita, nel cristianesimo se è vissuta come un cammino pasquale può diventare addirittura un luogo in cui si fa sentire la forza di Dio. Questo viene proclamato da Gesù nel discorso della montagna, quando afferma che sono beati, felici, convinti di poter andare avanti con fiducia e di essere nella verità quanti sono poveri, miti, disarmati, perseguitati, affamati (cf. Mt 5,1-12). L’Apostolo Paolo nella Seconda lettera ai Corinzi compone addirittura quello che potrebbe essere definito un inno alla debolezza: «Il Signore mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si esprime pienamente nella debolezza”. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché metta la sua tenda in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,9-10). In questo testo vanno sottolineate due espressioni che normalmente sfuggono al lettore: la potenza del Signore si esprime pienamente nella debolezza e la potenza di Cristo mette la sua tenda – la Shekinah, cioè la presenza di Dio – là dove trova la debolezza dell’uomo.

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inserito il 12 luglio 2011 (517)
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