Diecimila morti


immagine Diecimila morti. Almeno 50mila feriti e un numero impressionante di fosse comuni. Un’ecatombe. È questa l’immagine che arriva dalla Libia, nel silenzio dell’Italia, Paese amico che si preoccupa solo di quanti cercheranno di abbandonare quei lidi che si credevano blindati grazie a un accordo infimo, siglato con un folle dittatore che semina morte. Non da oggi. Ora, davanti alla follia dell’imperatore, si parla di genocidio, ma lo sterminio della disperazione è iniziato tempo fa, sotto il silenziatore della maggior parte della stampa, capace di risvegliarsi a comando, solo quando si sentiva politicamente l’esigenza di far scoppiare il caso. A destra o a sinistra, indifferentemente. I veri numeri di questa strage costante, giornaliera – l’abbiamo ripetuto più volte – non li sapremo mai. Giacciono sui fondali del mare mostrum. Invisibili, e per questo meno impressionanti di quelli di oggi. La situazione di calma apparente si è rotta, sollecitata dal vento di rivoluzione che soffia sul Nord Africa e che mostra i volti di nuove generazioni stanche di vecchi gioghi. Navi Pillay, Alta commissaria per i Diritti umani dell’Onu, ha chiesto un’inchiesta per i crimini contro l’umanità. Perché è di genocidio che stiamo parlando. Ed è su questo che l’Italia è chiamata a prendere una posizione chiara. Non ci interessa sentir parlare di accordi economici, di barili, di trattati di amicizia. Vogliamo sentir dire che non presteremo il fianco ancora una volta al Colonnello dittatore, che non troverà ospitalità nel nostro Paese, che l’Italia sospenderà la fornitura di armi alla Libia e invierà aiuti sanitari e alimentari alle donne, uomini e bambini vittime del delirio del tiranno. Crediamo che qui, in Italia, sia finito il tempo del baciamano. (Combonifem | Newsletter 08/11)

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inserito il 24 febbraio 2011 (496)
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